venerdì 6 maggio 2011

Cassazione Penale, Sezione V , Sentenza n. 1934 del 21 gennaio 2011 (Aggravante dell'interesse pubblico nel reato di accesso abusivo a sistema informatico, non è sufficiente che il sistema sia di proprietà di un gestore telefonico )

Svolgimento del processo

La C.d.A. di Napoli, con sentenza del 13.11.2009, ha confermato la pronunzia di primo grado con la quale G.A. fu condannato alla pena di anni 2 e mesi 8 di reclusione ed Euro 12.000 di multa (ritenute le attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti).

Il G. è imputato del reato ex artt. 81 cpv. e 110 c.p.,art. 61 c.p., n. 5, art. 615 ter c.p., commi 1 e 3, perchè, con più azioni esecutive di medesimo disegno criminoso, in tempi diversi, in concorso con altri, abusivamente si introduceva nel sistema informatico della VODAFONE OMNITEL NV, per procedere all'attribuzione di crediti telefonici del valore unitario di 80 e 300 Euro mensili per n. 3.846 numerazioni telefoniche OMNITEL, per un valore complessivo di area 2 miln. di Euro; con l'aggravante di avere agito su di un sistema informatico (rete telefonica di diffusione internazionale) di interesse pubblico e nelle ore notturne, al fine di ostacolare la pubblica e privata difesa.

Ricorre per cassazione l'imputato e deduce:
1) violazione dell'art. 615 ter c.p. per essere stato ritenuto il reato perseguibile di ufficio ai sensi del comma 3 del predetto articolo. Il concetto di interesse pubblico va elaborato in accordo con i recenti orientamenti del diritto amministrativo; esso sussiste tutte le volte in cui l'azione sia volta al perseguimento di interessi collettivi, beve dunque trattarsi di un interesse afferente alla funzione istituzionale della PA. Orbene l'art. 615 ter c.p., comma 3 prevede la procedibilità di ufficio quando l'agente rivolga la sua condotta a reti di interesse militare, ovvero rilevanti per l'ordine pubblico, o ancora alla sicurezza pubblica o infine alla sanità o anche alla protezione civile. Vi è poi una "formula di chiusura" che recita "... o comunque di interesse pubblico".

L'uso della parola "comunque" non è casuale perchè vuole indicare omogeneità tra gli interessi esplicitamente individuati e quelli ricavati in funzione della predetta formula. Per altro, è la rete in sè considerata che deve essere afferente al perseguimento di un interesse della PA e non ogni rete a diffusività nazionale può, per ciò solo, dirsi di interesse pubblico. Perchè la rete abbia tale caratteristica deve essere riservata al perseguimento di uno scopo della PA. Dunque la diffusività della rete non è necessariamente sintomo della sua riferibilità a un interesse pubblico. Secondo la CdA, va riconosciuta la sussistenza dell'interesse pubblico perchè la VODAFONE agisce in regime autorizzatorio, come concessionaria del competente Ministero.

Ma, a ben vedere, non è la rete di fonia a essere stata aggredita dalla condotta del ricorrente, ma l'insieme dei sistemi informatici predisposti dall'azienda per l'accredito di minuti di conversazione, da utilizzare successivamente con la rete GSM ovvero UMTS. 2) violazione dell'art. 133 c.p., in quanto i coimputati patteggianti sono stati condannati a pena più lieve. Non si comprende per qual motivo la medesima condotta debba avere risposte sanzionatorie tanto diverse.

3) illogicità e mera apparenza di motivazione, atteso che gli episodi di cui ai giorni (OMISSIS) sono stati addebitati al G. semplicemente perchè sulla persona del coimputato C. furono rinvenuti elenchi delle utenze per le quali erano state attivate promozioni nei giorni precedenti all'arresto. C. era l'unico perito informatico del gruppo e dunque solo a lui gli altri potevano fare capo per l'utilizzo delle key logger per estrarre la password da uno degli account esistenti.

In data (OMISSIS) il G. ha fatto pervenire memoria a sua firma con la quale ribadisce, amplia e illustra la censura sub 1).
La prima censura è fondata; le altre restano assorbite.
Conseguentemente la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della C.d.A. di Napoli per nuovo giudizio.

L'art. 615 ter (accesso abusivo a un sistema informatico o telematico) prevede e punisce la condotta di chi, appunto abusivamente, si introduce in tal tipo di sistema, protetto da misure di sicurezza. E' punita anche la condotta di chi in tale sistema si trattiene contro la volontà - espressa o tacita - di chi ha lo jus excludendi.
La fattispecie prevede, poi, varie ipotesi aggravate, cui consegue la procedibilità di ufficio; la forma non aggravata, viceversa, è perseguibile a querela.

Nel caso in esame, è contestata la aggravante di cui al comma 3 in quanto il sistema è stato ritenuto "comunque di interesse pubblico".
E' dunque tale concetto che deve essere messo a fuoco e correttamente individuato, atteso che, come si è premesso, ciò costituisce il contenuto della prima (e decisiva) censura.

Secondo la CdA, la sussistenza dell'interesse pubblico si desume dalla circostanza che VODAFONE agisce in luogo della pubblica amministrazione (Ministero dello sviluppo economico), in qualità di concessionaria di pubblico servizio.
La circostanza tuttavia non appare determinante.
Al proposito si deve rammentare che la dottrina ha lungamente dibattuto circa i criteri identificativi della natura pubblica di un servizio. Invero a una concezione soggettiva, se ne è contrapposta una oggettiva.
Per la prima, è 'pubblicò il servizio assunto da un soggetto qualificabile come ente pubblico, quando - ovviamente - le finalità del servizio rispondano a esigenze della collettività.
Per il secondo orientamento, invece, la natura e il regime del servizio pubblico devono emergere dall'interesse dell'attività, indipendentemente dal soggetto che la espleta o al quale l'attività stessa è istituzionalmente collegata.
Orbene, anche sulla scorta delle indicazioni di fonte comunitaria, è ormai pacifico che è tale seconda concezione quella che, attualmente, deve ritenersi dominante.

Dunque, nel caso di specie, è certamente corretto definire l'attività di VODAFONE come svolgimento di un pubblico servizio, in quanto volta alla cura di un pubblico interesse.

Sul punto, tuttavia, deve precisarsi che la fonte primaria del "servizio pubblico" è comunque da ricercarsi nello Stato o in altro ente pubblico, mentre il concreto esercizio ben può essere attribuito - come nel caso di specie (concessione) - a soggetti e organismi privati.

Il concessionario, insomma, resta un soggetto privato, il quale svolge pur sempre la sua attività per il perseguimento di un fine di lucro.

Dovranno distinguersi, pertanto - questo è il punto centrale della questione che occupa - all'interno della complessiva attività del concessionario, le attività di rilievo pubblicistico dalle attività imprenditoriali.
Invero, l'applicazione di regole e principi pubblicistici (e quindi la rafforzata tutela penalistica), connessi alla cura del pubblico interesse, si giustifica solo per quella parte di attività che si concreta nello svolgimento di una pubblica funzione, che il privato svolge quale "organo indiretto" della PA. Per quel che riguarda l'attività imprenditoriale, viceversa, il concessionario resta un soggetto privato e non trovano (non possono trovare) giustificazione deviazioni dalla disciplina che regola i rapporti tra privati.

Tale distinzione, per altro, riceve significativa conferma dalla giurisprudenza costituzionale (cfr. Corte cost. sent. 204/2004), relativa al riparto di giurisdizione in materia di servizi pubblici, che distingue, appunto ai fini del riparto, l'attività che rappresenta effettivamente l'esercizio di un servizio pubblico - riservata, ovviamente, alla giurisdizione esclusiva del GA - dalla attività imprenditoriale e di organizzazione per lo svolgimento del servizio da parte del gestore, riservata alla giurisdizione del GO. Non è dunque sufficiente, a integrare l'esercizio di un pubblico servizio, il contatto da parte del soggetto privato con i singoli utenti, in quanto occorre chiarire se ci si trovi, oppure no, di fronte ad attività direttamente rivolte al soddisfacimento di bisogni generali della collettività.

Tanto premesso, quel che occorre chiarire, nel caso in scrutinio, è se l'attività espletata da VODAFONE, attraverso la rete informatica violata, comprenda sia attività coinvolgenti il pubblico interesse, che giustificano l'applicazione della ipotesi aggravata (e, dunque, della perseguibilità d'ufficio), sia ordinarie attività d'impresa preordinate al raggiungimento dello scopo di lucro, rispetto alle quali non si giustifica il rafforzamento della tutela penale.

Occorre poi anche chiarire, in fatto, quale dei due "settori" (se tecnicamente separabili) sia stato interessato dalla illecita attività dell'imputato, ricordando che, come correttamente si afferma nel ricorso, è la rete in sè considerata che deve essere afferente al perseguimento di un interesse della PA, ma che, non per questo, ogni rete a diffusività nazionale può, per ciò solo, dirsi di interesse pubblico. Perchè possa riscontrarsi tale caratteristica, infatti, la rete deve essere volta al perseguimento di un pubblico interesse. Dunque,la diffusività della rete può essere sintomo significativo, ma non determinante della sua riferibilità a un interesse pubblico.
Il ricorrente sostiene di non avere aggredito la rete di fonia, ma solo la "parallela" rete predisposta per la gestione del credito.

E sul punto la sentenza non ha fornito soddisfacente risposta, pur trattandosi, per le ragioni sopra esposte, di questione decisiva ai fini della perseguibilità di ufficio. In sintesi, se solo VODAFONE ha subito danno (economico) dalla condotta illecita di G. e dei suoi concorrenti, se non è stata danneggiata la rete o se non sono stati pregiudicati (in qualsiasi modo) i diritti degli utenti, non può dirsi intaccato "l'interesse pubblico" e il reato deve ritenersi perseguibile a querela.

P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli per nuovo giudizio.

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